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Il contratto di locazione contiene un particolare ignorato dal giudice? Per farlo notare è necessaria una specifica indicazione

Per fare notare in Cassazione che il contratto di locazione contiene un particolare ignorato dal giudice è necessaria una specifica indicazione del fatto.
Avv. Alessandro Gallucci 

Due parti, che per comodità chiamiamo Filano e Mevio, concludono un contratto di locazione.

Mevio, il conduttore, necessitava di un’unità immobiliare da destinare all’attività commerciale che stava per aprire.

La proprietà locata aveva come destinazione “studio professionale”; insomma essa non poteva essere utilizzata per il fine stabilito.

Da qui ne discendeva una controversia tra conduttore e locatore; per quest’ultimo il contratto era chiarissimo ed inattaccabile.

Insomma per Filano il suo inquilino, fin da subito, poteva rendersi conto della destinazione d’uso dell’unità immobiliare.

Mevio, al contrario, affermava che prima della stipula del contratto non aveva avuto modo di prendere cognizione del fatto: in poche parole riteneva carpita la propria buona fede.

I giudizi di primo e di secondo grado davano ragione al conduttore: egli, secondo i giudici aditi, non conosceva effettivamente la destinazione del bene oggetto del contratto.

“Non è vero!” Tuonava, in appello e poi in Cassazione, Filano: dagli atti di causa si poteva evincere chiaramente che fin dalle prime trattative Mevio fosse a conoscenza della destinazione dell’unità immobiliare o che, comunque, potesse avvedersi facilmente di tale aspetto.

In sostanza secondo il proprietario del bene il suo conduttore era stato quanto meno negligente.

La Cassazione, rispetto a questa storia che non è di fantasia, ha reso sentenza ed ha dichiarato il ricorso inammissibile.

Si legge nella sentenza depositata in cancelleria dagli ermellini sull’inizio dello scorso mese di settembre che “ qualora una determinata questione giuridica, che implichi un accertamento di fatto, non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, il ricorrente che proponga la suddetta questione in sede di legittimità, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, ha l'onere non solo di allegare l'avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice di merito, ma anche, per il principio di autosufficienza del ricorso per Cassazione, di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la questione stessa (ex multis Cass.11 gennaio 2066 n. 230, seguita da numerose conformi)” (Cass. 4 settembre 2012 n. 14947).

Si tratta del così detto principio di autosufficienza del ricorso per Cassazione.

In sostanza, ai fini della validità (ammissibilità come si dice in gergo tecnico) del ricorso, ossia della possibilità che i giudici di Cassazione lo esaminino nel merito, è necessario che lo stesso contenga in sé tutti gli elementi idonei a consentire al giudice adito di valutare con chiarezza le vicende sottoposte alla sua attenzione.

In tal senso è stata la stessa Cassazione in tantissime occasione ha specificare che “ il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione impone al ricorrente la specifica indicazione dei fatti e dei mezzi di prova asseritamente trascurati dal giudice di merito, nonché la descrizione del contenuto essenziale dei documenti probatori con eventuale trascrizione dei passi salienti.

Il suddetto requisito non è pertanto soddisfatto nel caso in cui il ricorrente inserisca nel proprio atto d'impugnazione la riproduzione fotografica di uno o più documenti, affidando alla Corte la selezione delle parti più rilevanti e, quindi, un'individuazione e valutazione dei fatti estranea alla funzione del giudizio di legittimità“. (Cass. n. 1716 del 7 febbraio 2012)

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