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Condominio: come riconoscere un regolamento contrattuale?

Come si stabilisce la natura di un regolamento condominiale? È possibile modificare a maggioranza il regolamento voluto dall'originario costruttore?
Avv. Mariano Acquaviva 

Il regolamento è lo statuto del condominio, l'atto normativo contenente le regole principali a cui sia i condòmini che l'amministratore devono attenersi.

Ai sensi dell'art. 1138 c.c., il regolamento è obbligatorio solo se i condòmini sono più di dieci; contiene le norme circa l'uso delle cose comuni e la ripartizione delle spese, secondo i diritti e gli obblighi spettanti a ciascun proprietario, nonché le norme per la tutela del decoro dell'edificio e quelle relative all'amministrazione.

Il regolamento adottato all'unanimità può stabilire criteri di ripartizione della spesa diversi da quelli indicati dall'art. 1123 c.c., nonché incidere sui diritti che ciascun condomino vanta sia sulle cose comuni che su quelle esclusive.

Tale risultato può essere ottenuto essenzialmente in due modi:

  • con un regolamento approvato per iscritto da tutti i proprietari del fabbricato;
  • con un regolamento predisposto unilateralmente dal proprietario-costruttore dell'edificio, fatto poi recepire all'interno dei singoli atti d'acquisto da ciascun condomino.

Come si stabilisce la natura di un regolamento condominiale?

La giurisprudenza ha stabilito da tempo che per identificare la natura di un regolamento condominiale non occorre tanto accertarne l'origine (assembleare o meno), quanto verificarne l'effettiva portata e, soprattutto, l'incidenza sui diritti dei singoli.

Secondo la più recente giurisprudenza (App. L'Aquila, 15 maggio 2024, n. 639), la natura convenzionale del regolamento - predisposto dall'unico originario proprietario e accettato dagli iniziali acquirenti delle singole unità - non ne impedisce una successiva modifica a maggioranza dei condòmini se la portata delle norme non è tale da modificare i criteri stabiliti dalla legge (soprattutto quelli di ripartizione delle spese).

Ed invero, hanno natura contrattuale solo le clausole limitatrici dei diritti dei condòmini sulle proprietà esclusive o comuni attributive ad alcuni condòmini di maggiori diritti rispetti ad altri (Cass., 30 dicembre 1999, n. 943).

Non si può quindi riconoscere natura contrattuale alle disposizioni regolamentari per il solo fatto di essere state redatte all'unanimità o dall'originario costruttore, ove non risulti espressamente che si sia inteso derogare al regime legale di ripartizione delle spese.

Da tanto deriva che norme del genere non devono essere modificate con il consenso unanime dei condòmini, essendo sufficiente la maggioranza qualificata di cui all'art. 1136, secondo comma, c.c. (Cass., Sez. Un., n. 18447/2010).

Sempre la Corte di Cassazione (n. 25087/2022) ha rammentato che solo la "diversa convenzione" di cui all'art. 1123, comma primo, c.c. - ossia un atto di autonomia privata con il quale i condòmini determinano la portata dei loro rispettivi diritti ed obblighi di partecipazione alla vita del condominio in modo difforme da quanto previsto dagli artt. 1118 c.c. e 68 disp. att. c.c. - integra la modifica di una tabella convenzionale che incide sulla misura degli obblighi dei singoli partecipanti al condominio e, come tale, richiede una deliberazione assunta all'unanimità.

È dunque affetta da nullità la delibera che modifichi le tabelle millesimali convenzionali o "contrattuali" senza il consenso unanime di tutti i condòmini (Cass., n. 27159/2020; Cass. n. 6735/2020).

Natura del regolamento e modifica delle tabelle

Questi principi sono particolarmente significativi allorquando si tratta di modificare le tabelle millesimali allegate al regolamento avente natura convenzionale.

In questo caso, qualora i condòmini, nell'esercizio della loro autonomia, abbiano espressamente dichiarato di accettare che le loro quote nel condominio vengano determinate in modo difforme da quanto previsto negli artt. 1118 c.c. e 68 disp. att. c.c., dando vita alla "diversa convenzione" di cui all'art. 1123, primo comma, c.c., la dichiarazione di accettazione ha valore negoziale e, risolvendosi in un impegno irrevocabile di determinare le quote in un certo modo, impedisce di ottenerne la revisione ai sensi dell'art. 69 disp. att. c.c., che attribuisce rilievo esclusivamente alla obiettiva divergenza tra il valore effettivo delle singole unità immobiliari dell'edificio ed il valore proporzionale ad esse attribuito nelle tabelle.

Ove, invece, tramite l'approvazione della tabella, anche in forma contrattuale (mediante la sua predisposizione da parte dell'unico originario proprietario e l'accettazione degli iniziali acquirenti delle singole unità immobiliari, ovvero mediante l'accordo unanime di tutti i condomini), i condòmini stessi intendano (come, del resto, avviene nella normalità dei casi) non già modificare la portata dei loro rispettivi diritti ed obblighi di partecipazione alla vita del condominio, bensì determinare quantitativamente siffatta portata (addivenendo, così, all'approvazione delle operazioni di calcolo documentate dalla tabella medesima), la semplice dichiarazione di approvazione non riveste natura negoziale, con la conseguenza che l'errore il quale, in forza dell'art. 69 disp. att. c.c., giustifica la revisione delle tabelle millesimali, non coincide con l'errore vizio del consenso, di cui agli artt. 1428 e ss. c.c., ma consiste, per l'appunto, nella obiettiva divergenza tra il valore effettivo delle singole unità immobiliari ed il valore proporzionale ad esse attribuito (così Cass., 25 gennaio 2018, n. 1848).

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