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Locazione commerciale e aumento del canone in corso di contratto

L'eventuale variazione del canone di locazione, in corso di contratto, potrebbe essere giustificata dall'esigenza di riequilibrare il rapporto.
Avv. Marco Borriello 

Nell'ambito della disciplina delle locazioni degli immobili urbani, nella legge principale, cioè la n. 392/1978, il conduttore era stato considerato la parte debole del contratto. Secondo, infatti, l'intento del legislatore, l'inquilino doveva essere, specificatamente, tutelato da tutte quelle situazioni in cui il locatore, forte del possesso del bene e della necessità abitativa del conduttore, avrebbe potuto imporre delle condizioni e dei patti iniqui alla controparte.

È in ragione di ciò, pertanto, che sono state introdotte delle norme come quella di cui all'art. 79 co. 1, in base alla quale interpretazione letterale non si potrebbe, ad esempio, aumentare il canone in corso di contratto "È nulla ogni pattuizione diretta a limitare la durata legale del contratto o ad attribuire al locatore un canone maggiore rispetto a quello previsto dagli articoli precedenti ovvero ad attribuirgli altro vantaggio in contrasto con le disposizioni della presente legge".

Ebbene, leggendo il testo normativo, appare chiaro che, sul punto in questione, il legislatore non abbia fatto alcuna distinzione tra le locazioni abitative e quelle commerciali. Una circostanza, questa, ritenuta poco comprensibile dalla giurisprudenza della Cassazione, secondo la quale si fa fatica a considerare il titolare di un'impresa come una parte contrattuale debole rispetto al locatore dell'immobile "non è agevole comprendere la ragione per cui chi svolge un'attività commerciale debba essere reputato parte debole - o comunque debba esserlo sempre - in rapporto ad un proprietario di immobile, quasi che in termini economici la proprietà immobiliare sia ontologicamente superiore all'attività di impresa (ex multis Cass., 30/09/2019, n. 24221)".

Ad ogni buon conto, ha affrontato l'argomento la recente ordinanza della Corte di Cassazione n. 3399 del 6 febbraio 2024. Nell'occasione, in tema di aumento del canone, in corso di contratto, di una locazione commerciale, gli Ermellini hanno precisato se tale patto è valido e a quali condizioni.

Grandi locazioni commerciali: si può modificare il rapporto in corso di contratto?

L'attuale dettato normativo della legge 392/1978, così come modificato dall'art. 18 del decreto-legge n. 133 del 12 settembre 2014 (cd. decreto '"Sblocca Italia"), prevede che in tema di grandi locazioni commerciali, comprese quelle inerenti all'attività alberghiera, dove è previsto un canone di locazione superiore a 250.000 euro all'anno, le parti possano modificare il rapporto in corso di contratto, senza incontrare il limite di cui all'art. 79 co. 1 della stessa legge.

Pertanto, secondo la Cassazione qui in esame, il conduttore in questione non può essere considerato la parte debole del contratto e, in corso di rapporto, possono, tranquillamente, modificarsi le condizioni dell'accordo originario.

Quindi, può essere pattuito un canone diverso, si può regolamentare il recesso oppure, per ipotesi, si può prevedere una rivalutazione monetaria dell'affitto senza incontrare alcun limite "nelle "grandi locazioni" commerciali possono essere inserite clausole derogative delle prescrizioni "imperative" della legge 392/78 e possono dunque essere oggetto di libera contrattazione tra le parti le clausole su durata minima, rinnovo automatico, prelazioni, recesso per gravi motivi, indennità a fine locazione e indicizzazione e/o aumenti del canone.

Pertanto l'art. 79 oggi esclude dal suo ambito di applicazione gli immobili commerciali per i quali il canone annualmente pattuito sia superiore a Euro 250.000,00: il legislatore ha così espressamente codificato la situazione per cui, nelle c.d. 'grandi locazioni', la posizione delle parti non soffre gli squilibri che il legislatore ha ritenuto tipicamente sussistenti riguardo a contratti stipulati per canoni inferiori alla predetta soglia, e dovranno dunque ritenersi lecite, nelle locazioni stipulate ai sensi dell'art. 18 del d.l. 133/2014, clausole di aggiornamento del canone per rivalutazione monetaria che superino i limiti quantitativi previsti dall'articolo 32 della legge 392/1978".

Grandi locazioni, che cosa sono?

Locazione commerciale: si può aumentare il canone in corso di contratto?

Secondo la Cassazione in commento, in linea con la precedente quanto pacifica giurisprudenza sul punto, è possibile aumentare il canone, originariamente pattuito, di una locazione commerciale.

Secondo gli Ermellini, infatti, durante il rapporto, potrebbero verificarsi degli eventi in grado di alterare l'equilibrio contrattuale tra le parti.

Ad esempio, ciò potrebbe accadere a seguito dei lavori di ristrutturazione dell'immobile locato, a cura e spese del locatore.

In questo, come in altri casi analoghi, l'oggetto del contratto non rimarrebbe immutato e la concordata variazione del canone sarebbe giustificata dall'esigenza di riequilibrare il rapporto. Ecco perché tale modifica sarebbe pienamente ammissibile e valida, nonostante il divieto di cui all'art. 79 co. Legge 392/1978, nell'occasione, inapplicabile "la maggiorazione del canone in costanza di rapporto non incorre nella nullità ex art. 79 l. eq. can. ogniqualvolta essa sia "collegata sinallagmaticamente all'ampliamento della controprestazione" (Cass., n. 4040/2009) e il patto di aumento sia "ancorato a elementi oggettivi predeterminati, idonei a influire sull'equilibrio economico del sinallagma contrattuale" (v. Cass., n. 5849/2015 - v. Cass., n. 4933/2015, che, per escludere la nullità di cui all'art. 79 cit., richiama proprio l'esempio dei lavori di ristrutturazione dell'immobile".

È in ragione di queste argomentazioni che la Cassazione, con il provvedimento in commento, ha legittimato la decisione impugnata. Essa aveva, infatti, ritenuto legittimo il patto con cui le parti in causa avevano concordato l'aumento del canone originario, a seguito di una rilevante ristrutturazione dell'immobile locato (un grande albergo) a carico del proprietario del bene. Non vi è stato, dunque, motivo per cassare la sentenza emessa dall'ufficio di merito.

Sentenza
Scarica Cass. 6 febbraio 2024 n. 3399
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