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Canna fumaria in amianto troppo vicina al balcone: il condomino può chiedere il risarcimento del danno

Bisogna accertare se vi è stata una limitazione concreta nel godimento dell'immobile.
Giuseppe Bordolli Responsabile scientifico Condominioweb 

Come noto, l'art. 890 c.c. impone, per la fabbricazione di forni, camini, magazzini di sale, stalle e simili e per la collocazione di materie umidi o esplodenti o in altro modo nocivi o di macchinari presso il confine, anche se su questo si trova un muro divisorio, il rispetto delle distanze stabilite dai regolamenti e in mancanza di quelle necessarie a preservare i fondi vicini da ogni danno alla solidità, salubrità e sicurezza.

La violazione di tale norma attribuisce al proprietario confinante sia la tutela in forma specifica finalizzata al ripristino della situazione antecedente, sia la tutela in forma risarcitoria.

Sotto questo profilo bisogna considerare che l'esistenza del danno può essere provata attraverso il ragionamento presuntivo.

Il principio è stato evidenziato da una recente decisione della Cassazione (ordinanza del 27 giugno 2024 n. 17758).

Canna fumaria in amianto e risarcimento del danno. Fatto e decisione

Il proprietario di un appartamento lamentava l'installazione illegittima da parte di un vicino di una canna fumaria posta a trentotto centimetri di distanza dal suo balcone. Di conseguenza si rivolgeva al Tribunale per richiedere il risarcimento dei danni. Il Tribunale respingeva la domanda.

La Corte di Appello accertava la violazione delle distanze della canna fumaria dal balcone di proprietà dell'attrice e la sua intrinseca pericolosità, attesa la sua composizione in amianto e le pessime condizioni manutentive (pericolosità che era superabile con la dimostrazione da parte dei convenuti di aver adottato idonee cautele tecniche al fine di salvaguardare la dispersione nell'ambiente di sostanze nocive).

In particolare i giudici di secondo grado, pur accertando la violazione dell'art.1120 c.c. e dell'art.890 c.c., rigettavano la domanda risarcitoria perché ritenevano insussistente il danno alla salute e carente di allegazione e prova il danno derivante dalla compromissione del godimento del bene. L'attore ricorreva in cassazione deducendo la nullità della sentenza perché la Corte d'appello, pur avendo accertato la pericolosità della canna fumaria posta a distanza inferiore a quella legale, aveva poi rigettato la domanda risarcitoria senza tener conto come l'esistenza di un manufatto in amianto limitasse il godimento del bene. La Cassazione ha dato ragione al ricorrente.

I giudici supremi hanno notato che effettivamente la sentenza impugnata, pur condividendo le conclusioni del CTU sulla natura obsoleta della canna fumaria, realizzata in difformità delle disposizioni di legge, ha escluso il risarcimento in assenza di un danno diretto alla salute, omettendo però di valutare, anche in via presuntiva, se il pericolo concreto ed attuale derivante dall'esposizione ad amianto, abbia limitato il godimento del bene, a prescindere dalla verifica delle immissioni nocive.

Secondo la Suprema Corte l'errore commesso dalla Corte d'appello è stato quello di negare il risarcimento del danno al proprietario del balcone, ignorando l'intrinseca pericolosità della canna fumaria per la composizione in amianto, la difformità della canna alle prescrizioni di legge ed il suo cattivo stato di conservazione.

La Corte d'Appello quindi avrebbe dovuto accertare se, per le condizioni di tempo e di luogo, vi fosse stata una limitazione concreta nel godimento dell'immobile per il rischio di dispersione nell'aria di sostanze altamente nocive.

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Considerazioni conclusive

Secondo il costante orientamento giurisprudenziale, il rispetto della distanza prevista per fabbriche e depositi nocivi e pericolosi dall'art. 890 c.c., nella cui regolamentazione rientrano anche i comignoli con canna fumaria, è collegato ad una presunzione assoluta di nocività e pericolosità che prescinde da ogni accertamento concreto nel caso in cui vi sia un regolamento edilizio comunale che stabilisca la distanza medesima; mentre, in difetto di una disposizione regolamentare, si ha pur sempre una presunzione di pericolosità, seppure relativa, che può essere superata ove la parte interessata al mantenimento del manufatto dimostri che mediante opportuni accorgimenti può ovviarsi al pericolo od al danno del fondo vicino" e, in ogni caso, può essere superata mediante prova contraria" (Cass. civ., sez. II, 16/04/2018, n. 9267). L'art. 890 c.c. attribuisce al proprietario confinante una tutela immediata e diretta per il rispetto delle distanze prescritte e quindi la possibilità di chiedere ai sensi dell'art. 872 c.c., comma 2, la riduzione in pristino e il risarcimento del danno (Cass. civ., Sez. II, 22/10/2009, n. 22389).

A tale ultimo proposito si ricorda che le Sezioni Unite hanno definito il danno risarcibile in presenza di violazione del contenuto del diritto di proprietà: esso riguarda non la cosa ma il diritto di godere in modo pieno ed esclusivo della cosa stessa, sicché il danno risarcibile è rappresentato dalla specifica possibilità di esercizio del diritto di godere che è andata persa quale conseguenza immediata e diretta della violazione.

Il nesso di causalità giuridica si stabilisce così fra la violazione del diritto di godere della cosa, integrante l'evento di danno condizionante il requisito dell'ingiustizia, e la concreta possibilità di godimento che è stata persa a causa della violazione del diritto medesimo, quale danno conseguenza da risarcire.

In ogni caso i giudici supremi hanno precisato che la locuzione "danno in re ipsa" va sostituita con quella di "danno presunto" o "danno normale", privilegiando la prospettiva della presunzione basata su specifiche circostanze da cui inferire il pregiudizio allegato (Cass. civ., Sez. Un., 15/11/2022, n. 33645).

Sentenza
Scarica Cass. 27 giugno 2024 n. 17758
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