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Infiltrazioni dalle parti comuni: il mancato godimento dell'abitazione è causa di risarcimento

Il danno subito dal proprietario per l'indisponibilità del bene discende dall'impossibilità di conseguire integralmente l'utilità da esso ricavabile.
Avv. Mariano Acquaviva 

Il Tribunale di Catania, con la sentenza n. 1583 del 25 marzo 2024, ha ribadito il principio secondo cui il danno subito dal proprietario per l'indisponibilità del proprio bene è in re ipsa, in quanto discende dall'impossibilità di conseguire integralmente l'utilità da esso ricavabile. Approfondiamo la vicenda sottoposta all'attenzione del giudice siciliano.

Impossibilità di utilizzare l'immobile: fatto e decisione

Il giudizio trae le mosse dal danno che l'attore, proprietario di un'unità immobiliare, riteneva di aver subito dalle infiltrazioni provenienti dalle parti comuni (cornicione-mantovana).

Nello specifico, dopo aver vittoriosamente intrapreso un'azione cautelare per danno temuto ex art. 1172 c.c., l'attore affermava che per tutta la durata dei lavori - che il convenuto era stato costretto ad eseguire - non aveva potuto godere di una parte significativa del proprio immobile - per la precisione, del giardino e della camera da letto.

Chiedeva pertanto il risarcimento del danno per mancato godimento dell'abitazione, derivante dall'illecito aquiliano altrui.

Si costituiva la controparte, eccependo l'infondatezza della domanda attorea e, in subordine, la riduzione del quantum richiesto, alla luce del principio di cui al secondo comma dell'art. 1227 cod. civ., a tenore del quale «Il risarcimento non è dovuto per i danni che il creditore avrebbe potuto evitare usando l'ordinaria diligenza».

Il Tribunale di Catania, con la sentenza n. 1583 del 25 marzo 2024 in commento, ha accolto le ragioni attoree.

Il mancato godimento - anche solo parziale - dell'immobile (nel caso di specie, della camera da letto e del giardino) è fonte di responsabilità extracontrattuale per il danneggiante e, di conseguenza, conferisce il diritto al risarcimento del danno a favore del proprietario danneggiato.

Il giudice siciliano rammenta l'insegnamento della fondamentale ordinanza n. 21835 del 9 ottobre 2020, con la quale la Corte di Cassazione ha statuito che il danno subito dal proprietario per l'indisponibilità del medesimo bene può definirsi in re ipsa, purché inteso in senso descrittivo, cioè di normale inerenza del pregiudizio nell'impossibilità stessa di disporre del bene, senza comunque far venir meno l'onere per l'attore quanto meno di allegare, e anche di provare, con l'ausilio delle presunzioni, il fatto da cui discende il lamentato pregiudizio.

Non rileva dunque che in giudizio non siano stati provati i tentativi di dare in locazione i locali, perché l'immobile non poteva essere comunque idoneo oggettivamente ad alcun utilizzo.

Da qui l'esistenza di un danno in re ipsa derivante dalla natura fruttifera del bene, che fa riferimento al suo valore locativo.

Per il Tribunale di Catania, quindi, va applicato anche al caso di specie il principio per cui, in caso di infiltrazioni in un immobile altrui causate da perdite d'acqua derivanti da parti condominiali, il danno per l'indisponibilità può essere definito in re ipsa, ossia esistente senza necessità di essere provato specificamente, discendendo dalla mancata libera disponibilità del bene e dalla impossibilità di conseguire integralmente l'utilità da esso ricavabile.

Responsabilità per infiltrazioni d'acqua piovana e gravi difetti dell'edificio.

Mancato godimento dell'immobile: considerazioni conclusive

Il Tribunale di Catania, nella sentenza in commento, richiama alcuni importanti precedenti giurisprudenziali che è qui opportuno riportare, quantomeno per completezza espositiva.

Secondo la Suprema Corte (Cass., sent. n. 33439 del 17 dicembre 2019), la compressione o la limitazione del diritto di proprietà che siano causate dall'altrui fatto dannoso (come ad esempio l'infiltrazione di acqua proveniente da terrazze di copertura dell'edificio condominiale) sono suscettibili di valutazione economica non soltanto se ne derivi la necessità di una spesa ripristinatoria (cosiddetto danno emergente) o di perdite dei frutti della cosa (lucro cessante), ma anche se la compressione e la limitazione del godimento siano sopportate dal titolare con suo personale disagio o sacrificio.

In ordine alla sussistenza e quantificazione di tale danno, mentre resta a carico del proprietario o dell'usufruttuario il relativo onere probatorio, che può essere assolto altresì mediante presunzioni semplici, il giudice può fare ricorso anche ai parametri del cosiddetto danno figurativo, come quello del valore locativo della parte dell'immobile del cui godimento il proprietario è stato privato.

È onere dell'attore solo l'allegazione del fatto produttivo del danno-evento alla cosa di proprietà, che possa essere posto alla base dell'accertamento processuale.

E ancora: con la sentenza n. 10870/2016, la Suprema Corte ha affermato che il pregiudizio da mancato godimento di un immobile, analogamente a quello derivante dall'occupazione abusiva, è rimesso alla valutazione del giudice del merito, il quale può avvalersi, per la sua determinazione e quantificazione, di presunzioni gravi, precise e concordanti, considerando l'utilità normalmente conseguibile nell'esercizio delle facoltà di godimento e di disponibilità del bene insite nel diritto di proprietà.

Ciò significa che, trattandosi di presunzione, la prova può dirsi raggiunta sulla base di elementi concordanti emersi nel corso del giudizio, fino a prova contraria, cioè fino a che la controparte non provi che tali elementi siano infondati.

Inoltre, il danno da mancato godimento può configurarsi anche con specifico riferimento a un giardino (così Tribunale Roma, n. 4914 del 28 febbraio 2019), se i danni derivanti dall'ostacolato utilizzo del proprio bene deriva dalla condotta altrui, come ad esempio dalla caduta di pigne da un albero di grandi dimensioni situato negli spazi del condominio vicino e convenuto in giudizio.

Sentenza
Scarica Trib. Catania 25 marzo 2024 n. 1583
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